4 febbraio 2013

Quando Dio ballava il tango

Si ricomincia.

Non ce ne va bene una.
Non siamo brillanti, per usare un eufemismo, ma chi può dire di esserlo in questo campionato?
Basti pensare che – nonostante tutto – siamo li.

E senza la longa manus di qualcuno, saremmo ancora più avanti - noi - e ben più indietro, altri.
Perchè lo ripeto fino alla nausea (chissà se il concetto prima o poi passerà, ai flagellanti): io voglio perdere solo perchè faccio schifo.
Nulla vieta di vincere giocando male, facendo cagare. Nulla.

Il calcio non è pattinaggio artistico.
Il calcio non è determinato dal merito.
Vince chi fa un gol in più degli avversari. Il resto, sono seghe da talk show.
Finchè non ci toglieremo di dosso la sindrome del superuomo la prenderemo sempre in quel posto.
Io ve lo dico.

E magari, anzichè pensare alla rivoluzione perchè Moratti non ha soldi, perchè voi si che sapreste motivare la squadra (altro che Stramaccioni) indignatevi per la farsa che è diventata il campionato italiano.

Perchè una ci mette tutta la passione del mondo.
Poi valeri, appena ricevuto l’sms di riaccredito dell’IMU sul suo conto corrente, “se la sente” di fischiare un rigore inesistente, a gloria eterna del conducator.

E già li ti girano.

Poi, su twitter, nella tua TL compare il RT di questo messaggio dell’ormai impresentabile re della camicia hawaiana.
E tutta la rabbia diventa un fiume in piena.



E ti chiedi se davvero ne valga la pena.

Spendere passione, lacrime e soldi per il wrestling. Che, per carità, è anche uno spettacolo divertente. Se solo una non fosse partita col presupposto di vedere del calcio.

Pur ringraziando il geniale governatore uscente della Lombardia, la mia regione, per aver svelato in 140 caratteri la strategia del capo penso che la storia non ci abbia insegnato niente.
Lo sport non deve mai diventare uno strumento di propaganda politica.
MAI.

Perchè se davvero c’è qualcuno che pensa che non vi sia nesso e che formigoni sia solo un casciavitt particolarmente cretino dovrebbe forse fare un ripasso di storia.

Siccome sono gentile e buona, siccome è la mia materia preferita, siccome l’ho portata alla maturità con un 9 e vanto un 30 all’esame di storia contemporanea, vi rinfresco la memoria.

E premetto: non è per fare politica tout court, anzi!
Risparmiatemi i pipponi da Porta a porta sui comunisti, gli anticomunisti, cazzi e mazzi. Non è questo. Non oggi. Anche perchè non c’è nulla di più lontano da me di questa politica (?).

Ma torniamo indietro di qualche anno.
Più precisamente al 1976, quando il tenente generale Jorge Rafael Videla, dopo essere stato nominato Comandante in capo dell'esercito dalla presidente Isabelita Peròn capeggia il colpo di stato del 24 marzo 1976 con cui la stessa viene sostituita da una giunta militare, formata da (cito) Leopoldo Galtieri in rappresentanza dell'esercito, dall'ammiraglio Emilio Massera per la marina e dal generale Ramón Agosti per l'aviazione, dando inizio a quello che essi chiamarono Processo di Riorganizzazione Nazionale.

Tra gli anni ‘50 e ‘70 l'economia argentina era cresciuta sensibilmente contestualmente alla discesa del tasso di povertà tanto che, nel 1966, aveva ottenuto la designazione ad ospitare i mondiali di calcio del 1978.

Dieci anni dopo, tuttavia, il contesto politico-economico era cambiato totalmente.

Sindacati aboliti, salari congelati, stampa imbavagliata ed asservita.

Opposizione, sia da parte dei gruppi di sinistra che dai peronisti, repressa utilizzando metodi improntati all'illegalità. Iniziava quella che sarebbe passata alla storia come la Guerra Sporca: migliaia di dissidenti  torturati e fatti sparire nel Rio de la Plata (i famosi “voli della morte”. Quelli che, per intenderci, “Erano belle giornate, li facevano scendere dagli aerei..”); inoltre, il SIDE (Secretaría de Inteligencia de Estado), la DINA ed altri servizi segreti sudamericani collaboravano con la CIA nell’ambito della cosiddetta Operazione Condor, una massiccia operazione di politica estera statunitense, che ebbe luogo negli anni settanta, volta a tutelare tutti quegli stati centro e sudamericani dove l'influenza socialista e comunista era ritenuta troppo potente, nonché a reprimere le varie opposizioni ai governi partecipi dell'iniziativa (cit. Naomi Klein, Shock Doctrine).

Un’unica, silenziosa, forma di opposizione, iniziata il 30 aprile 1977: ogni giovedì, sotto la Casa Rosada di Plaza de Mayo, si riunivano le madri dei desaparecidos che per mezz’ora percorrevano in cerchio, in silenzio, il perimetro della piazza.

Per intimidirle, i militari avevano assoldato anche hooligans scelti tra le barras bravas, i tifosi più violenti delle curve.
Nonostante tutto, l’opposizione silenziosa, continuava.

Mancava solo un anno, al Mondiale.

E’ in questo contesto che l’evento sportivo diventa uno strumento politico, per allargare le basi del consenso e legittimare l’immagine della nazione agli occhi dell’opinione pubblica, sia interna che internazionale.

Quale migliore occasione per distogliere il mondo dalle violenze e dalle violazioni dei diritti umani perpetrati dalla giunta militare?

“25 milioni di argentini giocheranno la Coppa del Mondo”: questo lo slogan con cui il regime invase il Paese.
Una sorta di "la nazionale che vince fa bene all'Argentina".

Come se non bastasse, a pochi mesi dal fischio d’inizio venne lanciata l’Operazione “El Barrido”. Tutti i quartieri malfamati alla periferia di Buenos Aires furono rasi al suolo e gli abitanti evacuati nella provincia di Catamarca; venne eretto un muro con immagini dipinte di belle case lungo il viale principale di Rosario, per nascondere la povertà delle periferie. Gli arresti proseguivano a ritmo serrato. Si parla di oltre 200 al giorno, per evitare che potessero venire in contatto con i giornalisti stranieri.

Ma tutto questo non bastava.

L’Argentina DOVEVA vincere la Coppa.

Per questo motivo la giunta militare confermò alla guida tecnica “el Flaco” Luis Cesar Menotti.
“Nessuno poteva criticare il governo. Era ovvio che Menotti non la pensasse come i militari, e senza dubbio molte volte hanno pensato di sostituirlo. Ma era considerato la sola chance di vincere i mondiali, perciò lo tolleravano”. (O. Ardiles – Campione del Mondo con la albiceleste nel ’78).

Anche Menotti era diventato uno strumento del regime.

La nazionale - dopo un inizio stentato - si qualifica per il girone di semifinale con Perù, Brasile e Polonia.

Per favorire le televisioni, le partite dell’ultima giornata non si giocano in contemporanea (mi ricorda qualcosa).

E’ sufficiente battere il Perù con almeno quattro gol di scarto per arrivare alla finale. Nasce così la la marmelada peruana, una delle partite più contestate di tutta la storia del calcio.

In porta per il Perù c’è un argentino, naturalizzato peruano: Ramon Quiroga, detto “el Loco”, il pazzo.

L’Argentina vince 6-0 e va in finale contro l’Olanda.

Ancora ci si domanda il perchè della la visita negli spogliatoi del Perù del generale Videla, in compagnia del segretario di Stato americano Henry Kissinger.
Una risposta può essere, guarda un po’, la scelta del tecnico di reintrodurre in formazione il portiere Quiroga, inizialmente escluso.
Inoltre il giornalista Tim Pears, sul “The Observer Sport Monthly”, racconta che il governo peruano aveva ricevuto dall’Argentina un milione di tonnellate di grano a titolo gratuito, oltre all’apertura di una linea di credito di 50 milioni di dollari.

Stando al libro “El hijo del Ajedrecista 2” di Fernando Rodriguez Mondragòn - figlio di uno dei boss più potenti della narcomafia colombiana, dal cartello dei narcotrafficanti colombiani di Cali - suo padre, assieme allo zio, avrebbe portato una quantità imprecisata di denaro ai giocatori e allo staff tecninco del Perù, per corromperli e garantire così l’accesso alla finale della nazionale padrona di casa.

25 giugno del 1978.
Ottantamila persone stipate sulle tribune dell’Estadio Monumental di Buenos Aires.

In tribuna d’onore Videla e la sua giunta, accanto a loro una nostra (ma soprattutto “sua”) vecchia conoscenza: Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, di cui era membro anche Lopez Rega, e il cui “Piano di Rinascita Democratica” riecheggiava molto da vicino “El Proceso” di Videla.

Prima dell’ingresso in campo, Menotti chiede ai suoi giocatori di non voltarsi verso i generali ma di guardare tutta la gente che aspetta il trionfo. Giocheranno solo per loro, almeno nelle intenzioni.

Grazie alla direzione contestata dell’italiano Sergio Gonella (ops!), che dopo quella partita dice basta con l’arbitraggio, finisce 3-1 per l’Argentina dopo i tempi supplementarii.

Videla ha vinto.

Le urla di gioia che provenivano dallo stadio arrivavano certamente fino alle finestre dell’”Escuela de Mecanica de la Armada”, uno dei centri di tortura del regime.
Il 90% dei 5000 desaparecidos li detenuti è scomparso dopo giorni di torture e umiliazioni disumane.
I pochi superstiti raccontano che le torture si interrompevano durante le partite della nazionale. Così come i voli della morte.
Poi, al 90’, tutto ricominciava.
Come se nulla fosse.

Così, ancora, Ardiles: "Stavamo disputando la finale nello stadio del River Plate, e a tre-quattrocento metri c’era la Escuela de Mecànica de la Armada. Solo dopo abbiamo scoperto che era il principale centro di tortura della marina. E penso, quando segnavamo, tutti ci potevano sentire. Le guardie magari dicevano ai prigionieri ’stiamo vincendo’, è così che probabilmente glielo riferivano. Non dicevano ’L’Argentina sta vincendo’ ma ’noi stiamo vincendo’. Uno è l’aguzzino, l’altro la sua vittima. E poi penso, ’coloro che erano imprigionati come si sentivano, felici o tristi?’. In un certo senso erano felici perché erano argentini, e stavamo vincendo la Coppa del Mondo per la prima volta nella nostra storia. Meraviglioso. Ma sapevano che quella vittoria significava che la dittatura militare sarebbe durata ancora a lungo. Che non sarebbero stati rilasciati. Cosa hanno provato in quei momenti?"

Quella notte, i calciatori diventano artefici di una vittoria e strumento di un regime.

Ho letto da qualche parte che sul quella coppa ci sono 25 milioni di mani, oltre a quelle dei giocatori che fecero l’impresa e che avevano amici o parenti nella lista dei desaparecidos.

Anche quelle delle madri di Plaza de Mayo, secondo le quali: “Grazie al mondiale tutto il mondo ha conosciuto la nostra storia”.

E oggi? Non mi aspetto nulla di buono, a prescindere.

Però.. In un paese incapace di indignarsi per la vicenda MPS, per gli stipendi d’oro, per i rimborsi spese ma che, quasi anestetizzato, pensa di scendere in piazza per contestare un presidente che non vuole (o non può) più spendere, forse bisognerebbe fermarsi a riflettere su quale china - da cittadini - abbiamo deciso di prendere..
Io non voglio arrendermi.
Ma non so se ne sarò capace.