22 febbraio 2013

Footballmanagerizzatemi sta mi***ia

..Ovvero: con schermo e tastiera leoni, nella mischia coglioni.

Football Manager colpisce ancora.


Viene annunciata la formazione di Cluj-Inter e i fenomeni si scatenano.
Da “coglione” in giù, ogni epiteto è buono per definire Stramaccioni.

Fa giocare i titolari?
E’ uno str**zo, domenica c’è il derby.

Fa giocare i ragazzini, come a Kazan?
E’ un idiota che si è giocato il primo posto nel girone con delle pippe indeguate (a proposito, geni della panchina: avete visto CHI ha sbattuto fuori il Rubin, ieri sera? Si, l’Atletico Madrid, campione uscente, allenato da Simeone. Il Rubin al quale i nostri bimbi avevano tenuto testa; certo, bisognerebbe avere visto la partita per saperlo. Al di là del mero guardare il tabellino finale.

Ah, com’era? “Vedrete quando al sorteggio pescheremo il Chelsea e ci sbatterà fuori ai sedicesimi, se primo o secondo posto fa la differenza!”



Ma torniamo al Mister.
A quell’incompetente del Mister e ai fini strateghi che si annidano nel cyberspazio.

Schiera Chivu?
E’ un incapace.
Non schiera Chivu per Ranocchia, senza prevedere che il povero Andrea si sarebbe stampato su un cartellone?
E’ un pirla.

Schiera Cassano?
Andava risparmiato per il derby.

Non schiera Cassano?
Cazzo, spero che non lo voglia far giocare domenica.

“Bisogna farsi buttare fuori dalla EL perchè toglie energie al campionato”.
Che sarà sicuramente vero. Delle energie, dico.
Ma sono sicura che questi saranno i primi a stracciarsi le vesti in caso di eliminazione.

A questo proposito, la cosa divertente è vedere che gli individui che lo pigliano per il culo con la storia di “onorare la competizione” sono gli stessi che si scagliano contro napoli e udinese, il cui approccio rappresenta perfettamente la mentalità provinciale del calcio italiano: qualificarsi alla Coppa per raccattare quattro soldi in diritti tv per poi fottersene.

Collezionando – e qui, chi se ne frega! Cazzi loro! – figure di merda in tutti i luoghi e in tutti laghi ma soprattutto ammazzando il ranking Uefa.

Che, al di là delle cazzate sparse del geometra, è quello che oggi ci fa avere 3 squadre in Champions anzichè 4.

A questo punto, visto il brulicare di fenomeni da tastiera, di gente che sa sempre cosa è meglio (specie ex post e col culo al caldo), lancerei questa proposta al presidente Moratti.

Fossi in lui, per la prossima stagione, caccerei Stramaccioni ed istituirei la panchina volante tramite il concorso “Il mister sei tu”.



Come funziona?
Il regolamento è molto semplice!

Si prende uno di questi fenomeni da tastiera e lo si mette ad allenare l’Inter per una settimana.

Tutto: dalla preparazione atletica, alla tattica, al rapporto coi giocatori, alla scelta della formazione (il mercato lo si potrebbe fare tramite referendum).

Se poi la domenica non vince con 5 o più gol di scarto, totalizzando non meno del 70% del possesso palla, al termine del match si organizza una pubblica gogna durante la quale il soggetto verrà denudato, spellato e messo sotto sale. In diretta su Inter Channel, naturalmente.

Qu'on l'execute!

Per intanto, ho solo un desiderio per domenica: che l’Inter faccia come Prada e venda cara la pelle.

18 febbraio 2013

Quanto amore (prezzolato) sei..


Ok. Pregasi riempire la lista con i soliti insulti a piacere post risultato negativo.
Facciamo cagare.
Tutti idioti.
Allenatore che non ci capisce un cazzo.

Nulla di nuovo sul fronte occidentale, quando si perde.
Facendo onestamente una non bella figura - per non dire schifo (faccio timidamente notare che in punti sottrattici e regalati ad altri stanno pesando. Oh, se stanno pesando. In un campionato mediocre come questo sono macigni. E guardatevi la media/punti di qualcuno pre e post candidatura. Così, per fare del folklore).

Dicevo.. Un favoloso crescendo sado-maso in cui ci si fa forza l’un l’altro, trainati dagli arruffapopolo specialzzati in tafazzismo.
Un momento meraviglioso di comunione di intenti, in cui tutti diventano contabili, dirigenti, allenatori e (perchè no?) anche giocatori.
Il tutto con le chiappe al caldo.

Questo, naturalmente, è il solito post di televatuttobene, comizio sponsorizzato da FC Internazionale.
Mi pagano un tanto di ottimismo al chilo. Tant’è che mi ci sto pagando il mutuo e le rate della macchina. Mercedes, mica bruscolini.



Siccome è la settimana del derby che siamo destinati a perdere, al quale arriviamo senza speranze, volevo fare un’altra digressione sul perchè IO sono interista.

Io.
Non voi.
Non altri.
Io.

Da quando sono interista?
Non lo so.
Ricordo però la mia prima bandierina: senza lo scudetto del 1980, quello di Bersellini per intenderci.
Il mio interismo si manifestò li la prima volta.
Santuario di Caravaggio.
Una piccola, noiosa, Baderla insiste per avere una bandiera.
Papà e mamma cedono.
Il venditore mi piazza in mano una bandierina del milan: la guardo, la sventolo e poi – con espressione schifata – dichiaro: “No! Voglio quella li nera e blu”.

E poi a scuola. Domandone classico “per che squadra tenete?”. Tutti in coro “milan”. Io, con la mia vocetta saccente: “INTER”.
Elementari durante le quali vedevi svanire le grandi Inter dell’estate mentre dall’altra parte iniziavano a vincere. E tu in un angolino, ma sempre fiera dei tuoi colori.
E poi inizia il mostruoso periodo berlusconiano con tanto di gita scolastica a milanello con loro che vincevano e tu che incassavi da poco ad un cazzo. Scudetto dei record a parte.

Ho pianto quando abbiamo vinto la Coppa Uefa.
Ho passato la notte a singhiozzare quando l’abbiamo persa ai rigori con lo Schalke.
Ma sempre fiera dei miei colori.
Mai sono riuscita a denigrarli.
Non ce la faccio, è più forte di me.
Le cose vanno male? Non faccio la contabile, non faccio il DS, non faccio l’allenatore. Specialmente non lo faccio col culo al caldo.
Non mi viene.
Un amore totalmente irrazionale.
Cieco forse. Ma amore incondizionato.
E sarà un retaggio del lavoro o della mia forma mentis di piccola odiosa secchiona intellettualle ma NON SOPPORTO le critiche fini a se stesse.


Sarà che ho la brutta abitudine di pensare che per giudicare bisogna avere in mano tutti gli elementi. O sarà perchè mi è capitato di trovarmici, in situazioni difficili, avendo a che fare con personcine tutt’altro che semplici. E ho visto che dalla scrivania era facile parlare. In trincea diventava meno scontato.

Probabilmente è l’unica cosa sulla quale sono tollerante.
Troppo comodo dire “no” senza proporre una alternativa.
Troppo facile dire “non va bene” e, alla domanda “ok, tu cosa proporresti?” in concreto – dico – non ragionando di massimi sistemi la risposta non può essere “questo non spetta a me dirlo, non sono un DS”.
Ma come? Spali merda sul lavoro altrui e poi non sei in grado di formulare una proposta alternativa?
Personalmente, quando critico negativamente, cerco anche di dare una mia impostazione, un suggerimento.
Senza sparate a zero, certa che tanto - tra una settimana - tutti se ne sono dimenticati e posso tranquillamente sostenere il contrario.

Tanto è vero – per inciso – che sul basket sono molto più severa.
Ovviamente perchè Armani non mi veste gratis.

Tifare non l’ha prescritto il dottore.
Se crea così tanti problemi, scompensi, crisi esistenziali che sfociano nel masochismo se ne può anche fare a meno.
Il tifo è passione. Amore incondizionato.
Il famoso “finchè morte non ci separi” che contempla il supporto soprattutto nei momenti difficili. Anche quando le cose vanno male. Anche quando ci sono errori. Anche quando sembra tutto un dramma.
Una volta, il riscatto sociale lo si otteneva con il matrimonio. Oggi sembra che questo ruolo sia svolto dalla squadra di calcio per la quale si tifa.
Non fa per me (ME. E' chiaro? ME).

E poi, la strana etimologia della parola tifo, a seconda delle latitudini.
In italiano si parla di “tifo”, una malattia.
In inglese tifare si dice “support”.
To support: sostenere, appoggiare.



Ecco.
Io la vedo così.
Non va bene una fava. E' ovvio. Lo vedrebbe pure un cieco.
Sul momento mi incazzo a bestia ma poi.. Passa.
Come quando ami qualcuno. Ti odio e poi ti amo, poi ti amo, poi ti odio e poi ti amo, diceva Mina.
Ecco. Io l'Inter la amo così.
E’ un problema?
Pazienza.













Sopravviverò al dolore della pubblica disapprovazione..

Però attenzione.. Perchè non so dove, non so come, non so quando ma vi aspetto al varco.


15 febbraio 2013

Biancaneve la darà ancora al Principe

Avevo pensato a te durante il derby che ci regalò adriano con un colpo di mano.
Soffrimmo fino alla fine.

E pensai: “se al posto di culone - che si stava mangiando l'impossibile - ci fosse stato Milito saremmo stati almeno 4-0 al 10’ del secondo tempo”.

E sei arrivato.
Tra lo scetticismo di molti, che ti preferivano Acquafresca (no, non era solo bargiggia).
Al primo anno ci hai fatto vincere tutto.
Hai dimostrato di essere un giocatore con una intelligenza tattica fuori dal comune. Forse per questo, ti ho anche perdonato quell'infausta uscita nel post-partita di Madrid.

Il secondo sembravi bollito.

Il terzo, dopo un orrido e vergognoso "bidone d'oro" sei tornato.
A dicembre. E gliel'hai fatta ingoiare a suon di gol, quell'infamia.
E ho voluto la tua maglia.
La prima - non replica - col numero di un giocatore.
Ho voluto quella 22 che ne aveva piazzate tre (+1) al derby.


E io c’ero.

Che ti devo dire Principe.
Non ce la faccio ad adeguarmi al clima da tregenda.
So che è un infortunio brutto, molto brutto.
Ma cosa ci posso fare?
Io ho fiducia in te.
Principe.. Io ti aspetto.

Biancaneve

4 febbraio 2013

Quando Dio ballava il tango

Si ricomincia.

Non ce ne va bene una.
Non siamo brillanti, per usare un eufemismo, ma chi può dire di esserlo in questo campionato?
Basti pensare che – nonostante tutto – siamo li.

E senza la longa manus di qualcuno, saremmo ancora più avanti - noi - e ben più indietro, altri.
Perchè lo ripeto fino alla nausea (chissà se il concetto prima o poi passerà, ai flagellanti): io voglio perdere solo perchè faccio schifo.
Nulla vieta di vincere giocando male, facendo cagare. Nulla.

Il calcio non è pattinaggio artistico.
Il calcio non è determinato dal merito.
Vince chi fa un gol in più degli avversari. Il resto, sono seghe da talk show.
Finchè non ci toglieremo di dosso la sindrome del superuomo la prenderemo sempre in quel posto.
Io ve lo dico.

E magari, anzichè pensare alla rivoluzione perchè Moratti non ha soldi, perchè voi si che sapreste motivare la squadra (altro che Stramaccioni) indignatevi per la farsa che è diventata il campionato italiano.

Perchè una ci mette tutta la passione del mondo.
Poi valeri, appena ricevuto l’sms di riaccredito dell’IMU sul suo conto corrente, “se la sente” di fischiare un rigore inesistente, a gloria eterna del conducator.

E già li ti girano.

Poi, su twitter, nella tua TL compare il RT di questo messaggio dell’ormai impresentabile re della camicia hawaiana.
E tutta la rabbia diventa un fiume in piena.



E ti chiedi se davvero ne valga la pena.

Spendere passione, lacrime e soldi per il wrestling. Che, per carità, è anche uno spettacolo divertente. Se solo una non fosse partita col presupposto di vedere del calcio.

Pur ringraziando il geniale governatore uscente della Lombardia, la mia regione, per aver svelato in 140 caratteri la strategia del capo penso che la storia non ci abbia insegnato niente.
Lo sport non deve mai diventare uno strumento di propaganda politica.
MAI.

Perchè se davvero c’è qualcuno che pensa che non vi sia nesso e che formigoni sia solo un casciavitt particolarmente cretino dovrebbe forse fare un ripasso di storia.

Siccome sono gentile e buona, siccome è la mia materia preferita, siccome l’ho portata alla maturità con un 9 e vanto un 30 all’esame di storia contemporanea, vi rinfresco la memoria.

E premetto: non è per fare politica tout court, anzi!
Risparmiatemi i pipponi da Porta a porta sui comunisti, gli anticomunisti, cazzi e mazzi. Non è questo. Non oggi. Anche perchè non c’è nulla di più lontano da me di questa politica (?).

Ma torniamo indietro di qualche anno.
Più precisamente al 1976, quando il tenente generale Jorge Rafael Videla, dopo essere stato nominato Comandante in capo dell'esercito dalla presidente Isabelita Peròn capeggia il colpo di stato del 24 marzo 1976 con cui la stessa viene sostituita da una giunta militare, formata da (cito) Leopoldo Galtieri in rappresentanza dell'esercito, dall'ammiraglio Emilio Massera per la marina e dal generale Ramón Agosti per l'aviazione, dando inizio a quello che essi chiamarono Processo di Riorganizzazione Nazionale.

Tra gli anni ‘50 e ‘70 l'economia argentina era cresciuta sensibilmente contestualmente alla discesa del tasso di povertà tanto che, nel 1966, aveva ottenuto la designazione ad ospitare i mondiali di calcio del 1978.

Dieci anni dopo, tuttavia, il contesto politico-economico era cambiato totalmente.

Sindacati aboliti, salari congelati, stampa imbavagliata ed asservita.

Opposizione, sia da parte dei gruppi di sinistra che dai peronisti, repressa utilizzando metodi improntati all'illegalità. Iniziava quella che sarebbe passata alla storia come la Guerra Sporca: migliaia di dissidenti  torturati e fatti sparire nel Rio de la Plata (i famosi “voli della morte”. Quelli che, per intenderci, “Erano belle giornate, li facevano scendere dagli aerei..”); inoltre, il SIDE (Secretaría de Inteligencia de Estado), la DINA ed altri servizi segreti sudamericani collaboravano con la CIA nell’ambito della cosiddetta Operazione Condor, una massiccia operazione di politica estera statunitense, che ebbe luogo negli anni settanta, volta a tutelare tutti quegli stati centro e sudamericani dove l'influenza socialista e comunista era ritenuta troppo potente, nonché a reprimere le varie opposizioni ai governi partecipi dell'iniziativa (cit. Naomi Klein, Shock Doctrine).

Un’unica, silenziosa, forma di opposizione, iniziata il 30 aprile 1977: ogni giovedì, sotto la Casa Rosada di Plaza de Mayo, si riunivano le madri dei desaparecidos che per mezz’ora percorrevano in cerchio, in silenzio, il perimetro della piazza.

Per intimidirle, i militari avevano assoldato anche hooligans scelti tra le barras bravas, i tifosi più violenti delle curve.
Nonostante tutto, l’opposizione silenziosa, continuava.

Mancava solo un anno, al Mondiale.

E’ in questo contesto che l’evento sportivo diventa uno strumento politico, per allargare le basi del consenso e legittimare l’immagine della nazione agli occhi dell’opinione pubblica, sia interna che internazionale.

Quale migliore occasione per distogliere il mondo dalle violenze e dalle violazioni dei diritti umani perpetrati dalla giunta militare?

“25 milioni di argentini giocheranno la Coppa del Mondo”: questo lo slogan con cui il regime invase il Paese.
Una sorta di "la nazionale che vince fa bene all'Argentina".

Come se non bastasse, a pochi mesi dal fischio d’inizio venne lanciata l’Operazione “El Barrido”. Tutti i quartieri malfamati alla periferia di Buenos Aires furono rasi al suolo e gli abitanti evacuati nella provincia di Catamarca; venne eretto un muro con immagini dipinte di belle case lungo il viale principale di Rosario, per nascondere la povertà delle periferie. Gli arresti proseguivano a ritmo serrato. Si parla di oltre 200 al giorno, per evitare che potessero venire in contatto con i giornalisti stranieri.

Ma tutto questo non bastava.

L’Argentina DOVEVA vincere la Coppa.

Per questo motivo la giunta militare confermò alla guida tecnica “el Flaco” Luis Cesar Menotti.
“Nessuno poteva criticare il governo. Era ovvio che Menotti non la pensasse come i militari, e senza dubbio molte volte hanno pensato di sostituirlo. Ma era considerato la sola chance di vincere i mondiali, perciò lo tolleravano”. (O. Ardiles – Campione del Mondo con la albiceleste nel ’78).

Anche Menotti era diventato uno strumento del regime.

La nazionale - dopo un inizio stentato - si qualifica per il girone di semifinale con Perù, Brasile e Polonia.

Per favorire le televisioni, le partite dell’ultima giornata non si giocano in contemporanea (mi ricorda qualcosa).

E’ sufficiente battere il Perù con almeno quattro gol di scarto per arrivare alla finale. Nasce così la la marmelada peruana, una delle partite più contestate di tutta la storia del calcio.

In porta per il Perù c’è un argentino, naturalizzato peruano: Ramon Quiroga, detto “el Loco”, il pazzo.

L’Argentina vince 6-0 e va in finale contro l’Olanda.

Ancora ci si domanda il perchè della la visita negli spogliatoi del Perù del generale Videla, in compagnia del segretario di Stato americano Henry Kissinger.
Una risposta può essere, guarda un po’, la scelta del tecnico di reintrodurre in formazione il portiere Quiroga, inizialmente escluso.
Inoltre il giornalista Tim Pears, sul “The Observer Sport Monthly”, racconta che il governo peruano aveva ricevuto dall’Argentina un milione di tonnellate di grano a titolo gratuito, oltre all’apertura di una linea di credito di 50 milioni di dollari.

Stando al libro “El hijo del Ajedrecista 2” di Fernando Rodriguez Mondragòn - figlio di uno dei boss più potenti della narcomafia colombiana, dal cartello dei narcotrafficanti colombiani di Cali - suo padre, assieme allo zio, avrebbe portato una quantità imprecisata di denaro ai giocatori e allo staff tecninco del Perù, per corromperli e garantire così l’accesso alla finale della nazionale padrona di casa.

25 giugno del 1978.
Ottantamila persone stipate sulle tribune dell’Estadio Monumental di Buenos Aires.

In tribuna d’onore Videla e la sua giunta, accanto a loro una nostra (ma soprattutto “sua”) vecchia conoscenza: Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, di cui era membro anche Lopez Rega, e il cui “Piano di Rinascita Democratica” riecheggiava molto da vicino “El Proceso” di Videla.

Prima dell’ingresso in campo, Menotti chiede ai suoi giocatori di non voltarsi verso i generali ma di guardare tutta la gente che aspetta il trionfo. Giocheranno solo per loro, almeno nelle intenzioni.

Grazie alla direzione contestata dell’italiano Sergio Gonella (ops!), che dopo quella partita dice basta con l’arbitraggio, finisce 3-1 per l’Argentina dopo i tempi supplementarii.

Videla ha vinto.

Le urla di gioia che provenivano dallo stadio arrivavano certamente fino alle finestre dell’”Escuela de Mecanica de la Armada”, uno dei centri di tortura del regime.
Il 90% dei 5000 desaparecidos li detenuti è scomparso dopo giorni di torture e umiliazioni disumane.
I pochi superstiti raccontano che le torture si interrompevano durante le partite della nazionale. Così come i voli della morte.
Poi, al 90’, tutto ricominciava.
Come se nulla fosse.

Così, ancora, Ardiles: "Stavamo disputando la finale nello stadio del River Plate, e a tre-quattrocento metri c’era la Escuela de Mecànica de la Armada. Solo dopo abbiamo scoperto che era il principale centro di tortura della marina. E penso, quando segnavamo, tutti ci potevano sentire. Le guardie magari dicevano ai prigionieri ’stiamo vincendo’, è così che probabilmente glielo riferivano. Non dicevano ’L’Argentina sta vincendo’ ma ’noi stiamo vincendo’. Uno è l’aguzzino, l’altro la sua vittima. E poi penso, ’coloro che erano imprigionati come si sentivano, felici o tristi?’. In un certo senso erano felici perché erano argentini, e stavamo vincendo la Coppa del Mondo per la prima volta nella nostra storia. Meraviglioso. Ma sapevano che quella vittoria significava che la dittatura militare sarebbe durata ancora a lungo. Che non sarebbero stati rilasciati. Cosa hanno provato in quei momenti?"

Quella notte, i calciatori diventano artefici di una vittoria e strumento di un regime.

Ho letto da qualche parte che sul quella coppa ci sono 25 milioni di mani, oltre a quelle dei giocatori che fecero l’impresa e che avevano amici o parenti nella lista dei desaparecidos.

Anche quelle delle madri di Plaza de Mayo, secondo le quali: “Grazie al mondiale tutto il mondo ha conosciuto la nostra storia”.

E oggi? Non mi aspetto nulla di buono, a prescindere.

Però.. In un paese incapace di indignarsi per la vicenda MPS, per gli stipendi d’oro, per i rimborsi spese ma che, quasi anestetizzato, pensa di scendere in piazza per contestare un presidente che non vuole (o non può) più spendere, forse bisognerebbe fermarsi a riflettere su quale china - da cittadini - abbiamo deciso di prendere..
Io non voglio arrendermi.
Ma non so se ne sarò capace.