14 novembre 2011

Quando il senso della vergogna non si può comprare

Non si scherza con le vite degli altri. Ricordate Enzo Tortora? Magari quelli che lo condannarono, in segreto andranno a pregare sulla sua tomba. (luciano moggi).

Leggo queste due righe - per le quali intendo utilizzare il minor spazio e la minore evidenza possibile - e mi ribolle il sangue.
Che faccio?
Scrivo? Non scrivo?
Ci penso qualche giorno e poi mi dico: ok, scrivo.

Leggo queste righe e il primo commento è che i gobbi proprio non riescono a non tirare in ballo i morti.
E mi indigno.
Mi indigno per l’uso indegno del nome di Enzo Tortora fatto da un pregiudicato come moggi.
Mi indigno soprattutto perchè la così detta informazione (?) riporta la notizia senza nemmeno un commento, una parola per spiegare ai lettori che no.
Il processo di Napoli e il caso-Tortora non hanno nulla a che spartire.

Ma facciamo un po’ di informazione e un po’ di storia giusto per sbattere in faccia la realtà i gobbi, che da troppo tempo vivono in un mondo parallelo.

Il 17 giugno 1983 Enzo Tortora viene arrestato in uno dei più lussuosi alberghi romani, il Plaza, a seguito di un ordine di cattura nel quale si parla di sospetta appartenenza all’associazione camorristica Nuova Camorra Organizzata, capeggiata da Raffaele Cutolo.

L’accusa è pesantissima: associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e dei reati contro il patrimonio e la persona.

Accusa che si basa su un’agendina, trovata nell’abitazione di un camorrista, con sopra un nome scritto a penna ed un numero telefonico: in seguito le indagini calligrafiche proveranno che il nome non era Tortora bensì TORTONA e che il recapito telefonico non era quello del presentatore.

Ma torniamo indietro di qualche anno. Nel maggio del 1982 il Parlamento aveva approvato la cosiddetta “legge sui pentiti” che prevedeva possibili riduzioni della pena a chi decideva di “collaborare” con lo Stato nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.

Michele Morello, il Giudice del processo d’Appello di Tortora, spiegò anni dopo: “Non si aveva ancora l’esperienza di questi pentiti…persone che non erano come i terroristi o come (non vorrei bestemmiare) i mafiosi, che hanno un’ideologia, sballata, come volete voi, ma comunque un’ ideologia; questi erano senza ideologia, senza niente, non avevano niente da perdere…”.

Ma proprio perché non si ha nulla da perdere, ma tutto da guadagnare, nel processo a Enzo Tortora sono i pentiti, che arrivano ad essere ben 15, a fare il suo nome.

Tra questi ci sono:
- Giovanni Pandico, in carcere da 13 anni dove diviene lo scrivano e il segretario di Cutolo. Egli fa il nome di Tortora solo al quarto interrogatorio dove, in un elenco di malavitosi, lo cita al sessantesimo posto con il titolo di camorrista “ad honorem”. Le perizie psichiatriche descrivono Pandico come “uno schizoide affetto da paranoia, uno psicopatico abnorme, una di quelle persone che a causa della loro anormalità soffrono e fanno soffrire la società”.
- Pasquale Barra, nativo di Ottaviano, portavoce di Cutolo, definito il “boia delle carceri” o “ ‘o animale”, per la crudeltà con cui uccide le sue vittime. Questi decide di pentirsi in seguito a uno sgarro subito dallo stesso Cutolo, affermando che l’unico modo che aveva per salvarsi era affidarsi ai giudici. Per 17 interrogatori, nonostante gli fosse stato mostrato l’elenco compilato da Giovanni Pandico, non fa mai il nome di Tortora, finché poi, al diciottesimo, improvvisamente cambia idea.
- Gianni Melluso, detto “il bello”, uomo intelligente e calcolatore. Fa il nome di Tortora solo 7 mesi dopo l’arresto del presentatore genovese.
- A queste accuse si aggiungeranno quelle di altri sei imputati appartenenti alla N.C.O., rivelatesi in seguito anch'esse false, e del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini: i coniugi dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3.

Il numero dei pentiti che fa il nome di Tortora arriva ben presto a 19.

Inizialmente, le accuse sono generiche e piene di contraddizioni; col tempo, però, si fanno sempre più dettagliate.

Possibile?

Certo, visto che i pentiti potevano parlare tra di loro, scambiarsi opinioni; durante i processi, per esempio, quando si ritrovavano tutti nella stessa cella.

Secondo le dichiarazioni dei pentiti, quindi, Tortora controlla lo spaccio di stupefacenti a Milano.
Affermazioni che arriveranno solo dopo mesi.
Tortora rimane quindi in carcere per 7 mesi, a Regina Coeli prima e a Bergamo poi.
A questo proposito vi consiglio caldamente  “Cara Silvia - Lettere per non dimenticare”, la raccolta della sua lunga corrispondenza dal carcere con Silvia, la sua figlia maggiore.
Intanto i giornalisti (ma va?) contribuiscono ad accrescere la confusione intorno a questo processo, mettendo in circolazione notizie false o comunque non verificate.

Sempre il Giudice Morello ricorda: "Tutti quanti allora eravamo influenzati dalla stampa che era, per la maggior pare, colpevolista”.

L’Italia, quindi, e come sempre, si divide in due: colpevolisti e innocentisti.

Dopo 14 mesi dall’arresto, nell’agosto dell’‘84 Tortora viene eletto come Eurodeputato nelle fila del Partito Radicale; per questo quando il 4 febbraio dell ’85 inizia a Napoli il maxi processo contro la N.C.O, può seguire il processo da uomo libero.
Andreotti, dalla sua rubrica “Bloc notes” sull’“Europeo”, commentò: “Alcuni detenuti evadono con la lima e altri con la scheda elettorale”. Altri, con la prescrizione, mi viene da dire (vero Giù?).

Il 17 settembre dell’‘85 Enzo Tortora viene condannato a dieci anni di carcere.

Rinunciando all’immunità parlamentare l'ex presentatore resta agli arresti domiciliari.
Nelle motivazioni del suo arresto, si afferma: “Tortora ha dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni le sue losche attività e il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte, tanto più pernicioso perché coperto da una maschera di cortesia e savoir fair. L’appartenenza di Tortora alla Nuova Camorra Organizzata è stata provata attraverso le dichiarazioni di Giovanni Pandico, Pasquale Barra e altri…Tutte queste accuse hanno trovato adeguati e convincenti motivi di riscontro; nei confronti di Tortora non è stato posto nessun complotto, nessuna macchinazione, nessuna vendetta personale, non si è voluto coprire nessun omonimo, non vi è stato nessun accordo dei dissociati diretto a ottenere benefici speculando sulla persona di Tortora, il quale non ha fornito nessuna soddisfacente spiegazione alla sua estraneità ai fatti. L’imputato non ha saputo spiegarci il perché di una congiura contro di lui”.

La sentenza di Appello per il processo di secondo grado arriva nove mesi dopo: il 15 settembre dell’86; dal giorno dell’arresto sono passati oltre tre anni. La Corte di Appello di Napoli assolve Tortora con formula piena: i suoi accusatori hanno dichiarato il falso sperando in una riduzione della loro pena, oppure al fine di trarre pubblicità dalla vicenda, come nel caso del pittore Giuseppe Margutti, il quale mirava ad acquisire notorietà per vendere i propri quadri.

Il Giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d’indagine che ha portato all’assoluzione: “Per capire bene come era andata la faccenda ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all’ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po’ sospetta…In base a quello che aveva detto quello di prima si accodava poi la dichiarazione dell’altro che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti, di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell’imputato. Anche i giudici, oltre ad essere “antropologicamente matti”, soffrono di simpatie e antipatie…” E Tortora in aula fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”, lo grido da tre anni , lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento, “Io sono innocente”, e spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi!”.
La sentenza definitiva di assoluzione arriverà il 17 giugno del 1987, 4 anni dopo l’arresto.

Ora, miei cari, senza scendere troppo nel dettaglio, vi faccio notare una piccola differenza.

Tortora fu condannato in base alle dichiarazioni di presunti “pentiti”, non suffragate da alcun riscontro oggettivo. Al contrario.
Il moggi viene condannato NON sulla base di mere dichiarazioni ma sulla base di riscontri.
Riscontri denominati intercettazioni telefoniche.

Certe.
Chiarissime.
Inequivocabili.

Una agendina con scritto “TORTONA” vs una interminabile serie di intercettazioni telefoniche.
Cercatevele su youtube perchè non ho nessuna intenzione di inquinare il mio blog con le voci di certa gente.
Tanto, sapete dove trovarle.

Ve le siete ascoltate bene?
Si?

Ecco. Ricapitoliamo. Ore ed ore di registrazioni contro dichiarazioni ad orologeria di chi, parlando ed inventando aveva tutto da guadagnare.
Senza uno straccio di riscontro a queste dichiarazioni.

Quindi dico, di cosa cazzo stiamo parlando?

“È stata spazzata via la più grande operazione di mistificazione mai condotta in questo paese attorno a un processo [...] La sentenza [...] stabilendo che quella che operò in quel periodo fu un’associazione per delinquere e che quello era un calcio malato e corrotto. Alla fine hanno contato i fatti che noi abbiamo dimostrato, respingendo qualsiasi operazione che cercava di allontanare la verità. L’atteggiamento della difesa di luciano moggi non ha pagato, si è rivelato inconsistente: non ha provato in alcun modo a confutare quello che noi sostenevamo, o almeno a fornire una versione diversa dei fatti per come noi li prospettavamo. In sostanza è un atteggiamento di chi non è teso a dimostrare la propria innocenza o estraneità, ma piuttosto a dire che c’erano anche altri a fare quelle cose: operazione buona solo dal punto di vista mediatico”.

Rileggiamo attentamente: un atteggiamento di chi non è teso a dimostrare la propria innocenza o estraneità, ma piuttosto a dire che c’erano anche altri a fare quelle cose: operazione buona solo dal punto di vista mediatico.

Ora come allora.

Com’era? “Intanto i giornalisti (ma va?) contribuiscono ad accrescere la confusione intorno a questo processo, mettendo in circolazione notizie false o comunque non verificate”.

Vi ricorda qualcosa?

Poi è ovvio che ci sia gente, tipo quelli di ju29rme.com, che solo per avere visto qualche puntata di Forum o Law and Order si improvvisa esperta di diritto e si convinca dell’assoluzione.

Gente come questa.

Godetevela!! Le grasse risate sono consentite.



Grazie a Dio, NOI siamo un’altra cosa..

E al di là di tutto..

"Io sono qui anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti e sono troppi; sarò qui, resterò qui anche per loro."
(Enzo Tortora, 20 febbraio 1987)
Mi spiegate che cosa c’entra un UOMO come questo


con quest’omuncolo?