6 dicembre 2014

Una partita che non è come le altre

Domani si gioca Inter-Udinese.
Per me non é una partita come le altre oramai da un po'.
No, non staró a tediarvi con la storia della squadra schiava della baldracca di Venaria, e nemmeno del fatto che sulla sua panca - oggi - siedono due personaggi che stimo moltissimo e che mi hanno fatta sentire fiera di essere interista.

 

Il Drago, qui con il mio pc portatile quando ho avuto la fortuna di intervistarlo, si é confermato quello che é. 
Semplicemente un mito. 


The Sverginator é davvero tanto interista e non meritava un sinile trattamento. É successo, non ho mai sentito parole che non fossero comunque di affetto per noi. Anche in questi giorni.
Detto questo, Strama, non sognarti nemmeno di uscire dal Meazza con mezzo punto. Chiaro?


Ma non é di questo che voglio parlarvi, no.
Vi voglio raccontare di come tutto risalga al lontano 2008. Inter-udinese é l'ultima partita che ho visto con mia nonna Mariuccia.
La nonna Ernesta era la supercuoca della famiglia: cremonese é stata lei ad educarmi al culto della polenta, del formaggino arrostito e della crêpe dei poracci. E lo Zabaione. semplice o col caffè, rigorosamente fatto con le uova appena cagate dalla gallina della vicina e accompagnato da un tubo di biscotti Bucanevi.
Si, lo so che si dice Bucaneve. Ma io li chiamavo Bucanevi quindi si chiamano così. Fine del discorso.
E non dimentichiamo i gnocchi di pane! Mi voglio rovinare: anche le rane e il bissett. E i ravioli di zucca. E poi faceva un tiramisú mattonella spaziale!
E non solo. Viveva in campagna, nei pressi di gobboland, ma aveva un vicino supergranata che odiava la rube. Tutto in regola.
Aveva un cane, Whisky, e una gatta, la Micia. Immaginate una bimba di città come me avere a disposizione un cortile enorme dove giocare tutto il giorno. Quando si prospettava la partenza, la chiamavo e le dicevo "Nonna arrivo! Lavami i FaFFi!". Perchè va bene tutto, ma una bimba di città non gioca con la ghiaia sporca.
Inoltre, avendo una caterva di nipoti, la possibilità che azzeccasse il mio nome al primo colpo era piuttosto scarsa. Per anni sono stata Jessica, Paola, Claudio..
E adorava leggere, come me.
Quando è stata male sono stata la sua infermiera inflessibile e l'ho rimessa in piedi. Si divertiva un sacco quando le dicevo "Ernie, zitta! Non parlare! (Era la persona più discreta del mondo, esattamente il mio opposto) Smettila di respirare che mi dà fastidio!"

Ecco, lei era la cuoca, la nonna che ti aspetti. 
Beh, più o meno. Ho visto a casa sua l'ultima puntata di Lady Oscar: io e mia zia singhiozzanti sul letto, lei a prenderci per il culo. Adorava organizzare scherzi che ci terrorizzassero, per dire.
Ed evito di dirvi quali siano state le sue ultime parole per me..

La nonna Mariuccia, invece, era la nonna che non ti aspettavi. Abruzzese ma scarsissima in cucina. Tifosissima dell'Inter a livelli assurdi. Guardava tutte le partite, seguiva tutte le trasmissioni sportive, litigava perfino coi vecchi abruzzesi gobbi per difendere "el me Inter". (Quanto perdeva diventava "el to Inter", rivolto a me).
Vi dico solo che in occasione della Finale di Uefa del 1998, ha cacciato tutti di casa, si é barricata e ha seguito tutta la partita da sola. Urla selvagge pare provenissero da quella casetta sita al 14 di via Gluck. Ma urla di gioia, perché avevamo vinto "t'é vist?", detto con un sorriso orgoglioso.
Ok, nonna capiva solo quando era gol. E, non si sa perché, quando c'era da insultare l'arbitro. 
Ma amava l'Inter visceralmente, tanto - ne sono praticamente certa - da dedicare i rosari alla richiesta di grazia alla Vergine Di Loreto nel senso del "facci vincere domenica". 

E veniamo a Inter-Udinese.
Sempre presente a San Siro, quella domenica decido di saltare. Era il mio turno di assistenza in clinica. Nonna, oramai debilitata dalla malattia che le stava consumando il sé, ci stava lasciando. E se fosse successo, io non potevo essere lontana.
Oramai non riconosceva piú nessuno, tranne me. E pare le fossi molto simpatica. Sorrideva solo a me. 
E cosí, quel pomeriggio, anziché andare allo stadio mi reco da lei, con sciarpa d'ordinanza.
Noi non abbiamo la tv in camera, servirebbe a poco.
Allora decido di sfruttare quella della camera accanto: essendo un reparto di medicina d'urgenza avevamo stanze sia maschili che femminili. I nostri dirimpettai sono tutti uomini e stanno guardando sette gold.
Cammino avanti e indietro, le riferisco gli aggiornamenti.
Mi guarda. E sembra che capisca, che sia interessata.
E poi..  A tempo praticamente scaduto...



El Jardinero: JULIO RICARDO CRUZ

Salto il corridoio in tre secondi, entro in camera, l'abbraccio e le dico "Abbiamo vinto, nonna. Abbiamo vinto. L'Inter ha vinto". 
Lei sembra avere capito. Mi sorride. 
Io piango.
Perché in cuor mio so che questo é l'ultimo festeggiamento con lei. Perché é l'ultimo sorriso che mi ha fatto. 
Si addormenterá a breve in quello strano sonno che non é morte e non é vita finché un giovedi sera non dico a mia madre "se stanotte succede qualcosa non svegliarmi, aspetta domattina". 
Il mattino dopo mi é bastato alzare la tapparella della cucina per capire che se ne era andata. 

Finalmente serena. Finalmente ricordandosi di tutti noi. 
Di nuovo. 
(Beh, piú o meno.. Credo che ancora oggi, ogni tanto, mi chiami Davide..).